Quel piccolo borgo antico
sorge arroccato sopra un burrone.
Su di una rupe abbarbicato,
giace, grazioso ma abbandonato.
È stato rimosso dai libri di storia,
giammai, verrà cancellato dalla memoria.
Tutto è rimasto, intatto, com’era un tempo.
L’orologio della piazza fermo
all’ultimo fervido momento.
Se porgi l’orecchio
e ascolti attentamente,
si sentono fra gli stretti,
ma accoglienti, vicoli,
ancora l’eco delle voci.
Si intravedono tra gli angusti,
ma riservati, cunicoli,
le ombre delle persone.
Senti gli anziani
bisbigliare dai balconi,
vedi le loro figure affacciarsi,
spiare da dietro le persiane,
giocare a carte ai tavoli del bar
e cincischiare seduti sulle scale.
Senti le finestre sbattere
e gli usci cigolare,
le campane suonare
i rintocchi di mezzogiorno,
le grida dei bambini che fanno il girotondo,
le mamme che li chiamano
quando il pranzo è pronto.
Incastonato nella nuda roccia,
è coronato da una cinta
che lo rendono inespugnabile.
Quelle alte e solide mura,
conservano intatto il suo spirito vitale,
emanano un odore ancestrale.
Lo preservano da ogni sciagura,
anche dall’incuria del tempo stesso.
Svetta, tra le altre, la torre più alta,
da lassù, se ti inerpichi e ti sporgi,
la visuale è talmente ampia
che lo sguardo non trova ostacolo,
si estende fino all’orizzonte sconfinato.
E, proprio da lassù, la mente, libera, spazia,
fino a che la curiosità non è sazia,
finché l’animo non si rinfranca,
fino a che il cuore non se ne abbasta.