Una storia a lieto fine

Che bello sarebbe stato vivere in un altro posto, in un altro tempo, nel futuro o nel passato, ci ho sempre pensato, per esempio…

Che bello sarebbe stato vivere nella preistoria, dormire in una grotta umida e putrida, fare a gara di reumatismi, disegnare graffiti, andare a fare spesa con la clava, esprimersi con i grugniti, sfoggiare la nuova pelliccia di animali estinti, morire a trentanni per un taglietto o schiacciati da un mammut.

Per non parlare al tempo dei pirati dove se andava bene si finiva derubati o scotennati! Solcare i sette mari, cacciare tesori, scolarsi barili di rum e lavarsi una volta l’anno, morire per una palla di cannone, o ammutinarsi e venire appesi a testa in giù al pennone.

Oppure al tempo della santa inquisizione, dove, se parlavi da solo, finivi bollito in un calderone, al tempo delle crociate, dove potevi sterminare, in nome di dio, orde e orde d’infedeli, infliggere a proprio piacimento pene crudeli, oppure farsi fare la spia dal vicinato e venire bollato come eretico: morire impalato, arso vivo o scorticato!

Che bello sarebbe stato, vivere nel medioevo e prendere un ascia in pieno petto, morire di stenti nel proprio letto, o di peste bubbonica per il morso di un ratto infetto. Avrei tanto voluto fare il servo della gleba, fare il mercenario o il boia, al motto di: “mai na gioia!”.

Nella rivoluzione industriale fare qualche mestiere disumano: lo spazzacamino, il lustrascarpe, la sveglia umana, il tagliatore di ghiaccio, il disinfestatore, e morire dopo poche ore.

Nella rivoluzione francese nascere di sangue blu, farsi inseguire da qualche frotta, morire di gotta, fare il cicisbeo, correre dietro a ogni gonna e perdere la testa per una nobildonna, letteralmente…


Durante la seconda guerra mondiale avrei potuto fare il kamikaze, indossare una bandana col sol levante, affondare una portaerei americana e gridare: “banzai!”, fare un carriera lampo e schiantarmi in un istante!


E che dire di naufragare in qualche isola perduta, di perdersi in una giungla tropicale, venire sbranato da qualche animale feroce, mangiare serpenti arrosto, cavallette, vermi e banane, fare una capanna con le foglie di palma, essere inseguiti per poi essere cucinati dagli indigeni, e scappare su un albero, con tutta calma… Svegliarsi alle prime luci dell’alba divorato vivo dalle zanzare, prendere qualche devastante malattia tropicale.


Sarei potuto nascere in qualche futuro distopico, tipicamente antropico, post apocalittico, dove ci hanno fatto il lavaggio del cervello e siamo tutti spiati dal grande fratello, dove le pietanze sono sintetiche, dove le emozioni sono cibernetiche, dove all’ordine del giorno ci sono le mutazioni genetiche e dove le malattie sono tecnologiche.


A pensarci bene, a nascere oggigiorno non è andata proprio male, ma potevo nascere nella parte sfruttata del mondo, dove i bambini non fanno il girotondo, ma si spaccano la schiena in miniera notte e giorno.

Potevo nascere in Africa, in Indonesia, in India dove si vive in 30 tutti ammucchiati, ognuno con il suo metro quadro, dove si muore di stenti, dove non c’è l’acqua da bere e neanche uno straccio di bidè per lavarsi il sedere.


Potrei vivere in mezzo a una strada, sotto a un ponte, o in un cartone, essere un ubriacone e sognarmi ogni capodanno il cenone.

Tutto sommato sono stato fortunato a essere nato dove sono, anzi mi ritengo un privilegiato, ho addirittura il tempo di perdere tempo a scrivere qualche verso. In questa epoca, in questo posto, non è una tortura ma una benedizione piuttosto.


A pensarci bene avrei anche potuto vivere come nelle favole, starmene nel mio castello tra le nuvole fatte di panna, tutto il giorno a mangiare fragole…

È soltanto una fantasia, ma speriamo almeno che la nostra sia una vita che valga la pena di essere vissuta, una vita con le bollicine…


Una storia a lieto fine