A forza di vivere in città, sono diventato
insofferente, in generale, alla gente,
ma, particolarmente, a quella deficiente
che ti sveglia urlando nel cuore della notte,
sarebbe da uscire e fracassarli di botte.
Quelli che ti spiano mentre ti stai cambiando,
quelli che bisbigliano, giudicando, sparlando.
Quelli che urlano dal balcone, ti fanno uscire di melone!
Quelli che passano, evitandoti, in tutta fretta,
quelli che trafficano col cellulare, zigzagando,
senza guardare neanche dove stanno andando.
Quelli che passano sgasando, accelerando a manetta,
quelli che clacsonano a ripetizione,
quelli con lo stereo a tutto volume.
Quelli che sclerano in continuazione,
che sfogano sul prossimo ogni frustrazione.
Non la chiamerei misantropia, ma più voglia di fuggire via.
Sono diventato allergico al fetore dei gas di scarico,
non sopporto più il cemento, il grigiore urbano,
il caldo asfissiante, il traffico delirante,
l’asfalto bollente, il semaforo intermittente.
È tutto troppo soffocante, disturbante.
È tutto altamente deprimente, avvilente.
Appena posso scappo dalla città
e cerco un cantuccio di verde
dove rifugiarmi, dove ricrearmi.
Non sto diventando pazzo,
mi sono semplicemente rotto il cazzo…
Basta! Vado a vivere in campagna,
ovunque, in montagna, in collina,
basta che non sia troppo vicina
a nessuna fonte di rumore
che mi provoca il malumore,
quel costante stato di tensione.
Sono già lì, con il cuore,
sento l’odore dei prati in fiore,
sento il fresco olezzo del sottobosco,
quel profumo di vitalità, nelle narici, lo riconosco.
Mi affaccio alla finestra e immagino:
il verde lussureggiante, un paesaggio rilassante,
la natura rigogliosa, prosperante e pulsante.
Mi conferisce uno stato di quiete immanente.
Sarò lì tra qualche istante, giusto il tempo
di mettere da parte ogni ripensamento, ogni pentimento,
fare armi e bagagli, prendere i miei ritagli,
e fuggire, senza mai più voltarmi.