La signora in nero
mi ha fatto visita questa notte,
tra un sogno delirante
e un colpo di tosse.
L’avvolgeva un drappo oscuro,
teneva una falce stretta
nella sua mano scheletrica.
Si è avvicinata con fare sicuro:
una presenza sinistra
che striscia come un ombra.
Si è insinuata dal mio uscio,
attraverso un pertugio.
Ha sollevato la mia coltre
e mi ha detto,
con spettrale voce:
“Scusa se mi permetto,
ma è ora che fai fagotto,
perdonami se ti disturbo,
ma, preparati, è quasi il tuo turno.”
Le rispondo con voce tremula e soave:
“Non sono poi così grave,
ne ho viste di peggio,
la mia ora non è ancora arrivata.”
“Dammi ancora un ultima giornata,
per fare quello che mi sono sempre ripromesso,
per fare quello che non mi è stato mai permesso.
Ho bisogno ancora di un ora,
per ricordare i bei tempi andati,
quando si era sempre liberi e spensierati.
Ho bisogno di un ultimo minuto,
per ricordare chi ho perduto
e chi invece mi è stato sempre vicino,
durante il lungo cammino.
Ho bisogno di qualche altro attimo,
per riflettere sul mio amaro destino.
Ho bisogno soltanto
di un altra manciata di tempo,
per assaporare, ancora, gli avanzi
di cui solitamente ti stanchi,
ma quando sei morente,
non baratteresti con niente.”
E solo ora che sono in punto di morte,
la mia immaginazione vola oltre.
Sono quasi pronto al trapasso,
quando, con uno sforzo titanico,
torno in me stesso.
Mi riprendo e ripeto:
“Oggi non è il mio turno,
è solo l’ennesimo delirio notturno.”
Finché l’ombra non scompare
con la sua aura spettrale,
e un barlume di luce
filtra dalla finestra;
è l’alba di nuovo giorno,
non oggi, ancora non soccombo,
non è giunto il mio momento!